Cos’hanno in comune i tragediografi greci e i trapper in autotune
Nel mai una gioia della mia vita, una ce l’ho. Ed è la fortuna di orbitare attorno agli spettacoli, per lavoro, per divertimento, per necessità o raramente – ma capita- per sfiga.
Concerti, prose, musica o amici ubriachi in case anni ’70 che diventano ristoranti, in qualche modo ogni mese riesco a conquistarmi il mio spazio da spettatrice.
E c’è un rituale che mi attrae e mi immobilizza sempre.
Rumore di passi, risate, brusio, ultime zip di borsetta aperte, luce, buio.
Inizia lo spettacolo.
Quel secondo prima del primo suono, prima che il palco viva, quel secondo di sospensione, è il respiro interrotto della radiografia, quando ti dicono “non muoverti”, ma non hai fatto in tempo a pensare che ti muoverai che già puoi ricominciare a farlo.
E’ l’ultima pagina del libro che parla al posto tuo, che vorresti divorare, ma che non vuoi finire e le pupille rallentano il ritmo accarezzando ogni lettera fino al punto finale.
E’ la scelta del piede da mettere sulla scala mobile quando sei carico di spesa e devi ponderare l’equilibrio.
La rottura di quel silenzio porta con sé i sospiri dei fan, degli organizzatori, dei tecnici, dei musicisti, degli attori, dei direttori d’orchestra, dei direttori artistici, di chi ci ha investito tutto, di chi non ci ha creduto manco per niente e di chi è lì per caso o per curiosità.
Ci si tortura insieme in un gioco di ruoli in cui il primo microfono, se funziona, solleva decine e decine di persone in una condizione di deresponsabilizzazione emotiva in cui ci si lascia comandare da ciò che decide il nostro inconscio.
La sacralità del teatro e della musica è tutta lì, in quel secondo in cui il silenzio crea lo spazio per la Bellezza.
E no, non si placa: dai riti propiziatori primitivi agli aedi, dagli strumenti costruiti a mano con l’ingegno ai service super tecnologici, dai salotti dell’alta società agli artisti di strada, dagli attori imparruccati a quelli che non parlano, da quelli dell’assurdo a quelli per le esibizioni improvvisate, da quelli del conservatorio a quelli dell’autotune, Eschilo e Sfera Ebbasta sono la stessa cosa? Sì, ma solo in quel secondo.
Rumore di passi, risate, brusio, ultime zip di borsetta aperte, luce, buio.
Inizia lo spettacolo.
E qualcuno ancora non ha capito come cazzo si mette la modalità aereo.