I (non) buoni auspici del mondo dell’arte
Per chi ha paura del futuro (o del precariato) la fine dell’anno coincide con una serie di scaramanzie al limite tra lo sciamanesimo e il delirio fantozziano. Ci si prepara all’inizio del nuovo anno con riti propiziatori, stabiliti grazie a una logica stringente e mordente, coincidenti con speranze e utopie.
I film ci hanno abituato a questo momento da tutta una vita: la fine dell’anno deve coincidere per forza con l’inizio di un qualcosa di migliore. E noi, tra un oroscopo e l’altro, imbambolati di fronte all’orrore dei nostri destini nel caos più totale, non possiamo fare altro che attuare autoanalisi, tentando bilanci che sfociano poi nei classici buoni propositi.
Se “lavori” nell’arte contemporanea questo vuol dire essenzialmente fare dei post di ringraziamento sul proprio account Instagram, ricapitolando professionalmente mostre e progetti realizzati e ciò che, invece, ci si aspetta dall’anno nuovo… di solito altrettante mostre e ulteriori progetti che finiranno a loro volta nel carosello di ringraziamento dell’anno successivo.
Si inizia a notare un parallelismo con la prima parte del discorso: oroscopi, buoni propositi, bilanci e inesorabile paura. Chi ha il coraggio di guardare dietro al velo delle apparenze sa che è lì che si nasconde ciò che l’anno appena passato è stato realmente.
Temiamo infatti che, anche quest’anno, in realtà non avverrà nessun cambiamento, nessuna miglioria che possa donare valore aggiunto, se non cambiamo noi mentalità e se continuiamo a pensare solo al nostro circondario o a cose che accrescono unicamente il nostro ego e i propri profili Instagram.
Questa riflessione non solo è frutto di una ormai rodata esperienza nel settore del no profit, ma arriva leggendo i vari “best of” di fine anno. Il culmine è raggiunto, a nostro giudizio, dalla classifica di Politi, ex direttore di Flash Art, che stila il (suo) meglio del 2022.
Ora, cercheremo di non fare sterili polemiche ma sappiate che leggerla ci ha fatto giusto un po’ arrabbiare. Non siamo qui a questionare le scelte personali sulla selezione dei suoi “best of” in quanto a mostre, ma ci soffermeremo piuttosto al lungo elenco di brand e istituzioni private che vi compaiono. Citiamo testualmente, giusto per iniziare: Miglior direttore/direttrice: Maria Grazia Chiuri, Dior ; Miglior museo italiano: Fondazione Prada, Milano…
Non sappiamo se ci sia qualche contratto pubblicitario da rispettare (preferiamo davvero pensarla così) o se il post capitalismo abbia toccato vette così alte da appropriarsi del mezzo per fare controcultura per eccellenza: l’arte contemporanea.
Non è che siamo stati davvero così ingenui da sperare che tra i musei o le fondazioni ci fosse qualcuno con uno scopo sociale o una vocazione al collettivismo, però questi livelli non ce li aspettavamo da una figura importante come quella di Politi. Ci sembra comunque un riassunto tragico di come giri il mercato. Del resto in Italia siamo talmente tanto abituati a pensare che il privato abbia una connotazione salvifica da ignorare la moltitudine di esperienze pubbliche e collettive che ci circondano. Per carità, è tristissimo nell’arte ma è indubbiamente più tragica in altri settori (vedi la sanità) quindi… c’è di peggio! Cerchiamo anche di giustificare la cosa: se con miglior museo o fondazione intendiamo quella che non ha i conti in rosso, magari si tratta anche di una classifica sensata.
Una menzione speciale va fatta assolutamente per la NABA, indicata come migliore accademia d’arte. Badate bene, non si tratta della critica fatta dai rosiconi che non hanno potuto permettersela in tempi di formazione; la realtà è che crediamo sia davvero molto triste che, anche per quanto riguarda le università e le accademie, ci sia la necessità di cercare tra il privato per scovare le eccellenze… non ne abbiamo di statali?
Ovviamente nessuno si aspettava di trovare Osservatorio Futura tra i migliori spazi non convenzionali (figuriamoci se possiamo competere noi realtà indipendenti e autogestite con il colosso che è l’Hangar Bicocca) però un po’ di attenzione per ciò che non porta introiti ma progettazione politica al di fuori del sistema mainstream, sarebbe stata quanto meno apprezzata. O comunque – cosa non da poco dato il ‘titolo di miglior spazio non convenzionale’ – più attinente al tema. Politi prosegue facendo un augurio per l’anno nuovo al sistema dell’arte: “auguro a tutti gli artisti che si proclamano tali il reddito di cittadinanza.” Anche questa stigmatizzazione del reddito di cittadinanza verso chi non trova lavoro la troviamo avvilente, ma sicuramente in linea col pensiero di fondo – alto-borghese – che serpeggia in tutto l’articolo.
Poi aggiunge, e finalmente chiude l’elenco, con una pessima notizia (noi crediamo intendessero per il mondo dell’arte, ma la voglia di individualismo è irrefrenabile): “La noiosa influenza che mi ha colpito non mi abbandona ancora.” E allora Giancarlo, ti auguriamo di guarire da questa brutta influenza, sperando che non contagi anche noi!
…ma questa in fondo è solo spiccia retorica! e allora buon anno a tutte e a tutti, facciamo i conti l’anno prossimo quando la smetteremo (forse) di prenderci per il culo.