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Un uomo eclettico, eccentrico, solitario e indubbiamente spiritoso, come mostra il regalo da lui ideato per una ristretta cerchia di amici in occasione del Capodanno (1963-64): un drago da passeggio realizzato in carta colorata piegata a soffietto, alcune immagini di una donna velata all’indiana accompagnata dallo strano animale e un libretto con le istruzioni per l’uso (dell’animale) che le “procederà al fianco con dolce frinire” trainato da un guinzaglio di filo di spago!

La buffa creazione di Mollino è esposta insieme a oltre 500 fotografie al Centro Italiano per la Fotografia che ospita la mostra “L’Occhio magico di Carlo Mollino”. L’esposizione, curata da Francesco Zanot, è suddivisa in quattro sezioni, ognuna con un titolo tratto dagli scritti dell’autore.

Nella prima sezione, “Mille case”, Mollino immortala i suoi lavori architettonici, ma non si limita allo scatto: “prima della ripresa sceglie punti di vista, inquadrature, luci; dopo compie la selezione delle fotografie, spesso taglia una porzione del fotogramma, fornisce le indicazioni di stampa e a volte aggiunge ritocchi a mano o con l’aerografo”.

In particolare le fotografie scattate in casa Miller (1936) sono una composizione artistica, ottenuta attraverso giochi di specchi, ombre, gigantografie; gli oggetti hanno una precisa disposizione nello spazio, luogo al contempo abitativo ed espositivo. Le sculture zoomorfe, quali la testa di cavallo proveniente dallo studio del pittore Italo Cremona, e le pelli di animali contribuiscono a creare un’atmosfera onirica che risente dell’influenza del surrealismo.

Il ritratto di Lina Suwarowski (una delle modelle preferite dell’architetto-fotografo), mentre regge in mano un capitello in gesso realizzato da Mollino e Cremona, ricorda le pitture oniriche di Giorgio de Chirico, sintesi di antico e moderno, realtà e immaginario. Lo stesso può dirsi delle immagini scattate in Casa Devalle in cui, ad esempio, la sala da pranzo convive con un piccolo tempio, disposto su una mensola a muro.

Nella seconda sezione poi, “Fantasie di un quotidiano impossibile”, il surrealismo (col dadaismo) la fa da padrone. In “Camera incantata” lo spazio appare come un palcoscenico i cui soggetti protagonisti sono un busto in gesso della Venere di Milo e il volto del fotografo riflesso in uno specchio (l’antico gioco del doppio che ritroviamo in pittura nel celeberrimo “Las Meninas” di Velázquez).

Importante termine di paragone (oltre che fonte di ispirazione) per Mollino è la fotografia “Violin d’Ingres” di Man Ray (1924), in cui una donna è immortalata di spalle, coperta soltanto da un velo e da un turbante. Sulla schiena sono raffigurate due chiavi di violino. Mollino si ispirerà a tale immagine per immortalare di schiena una modella praticamente nuda con addosso soltanto le inziali dell’eccentrico architetto!

Le donne, soggetto ricorrente nelle sue fotografie, interagiscono con tutto ciò che le circonda: “c’è chi si accomoda su una poltrona, chi su un divano, chi si nasconde dietro una tenda, chi si sdraia su un tappetto” e persino chi sta alla guida di una sfrecciante vettura. Questo il caso di Mimì Schiagno cui, tra l’altro, Mollino propose di convolare a nozze (“se accetti ci regaliamo due Ferrari rosse, una a testa”).

Ed eccoci nella terza sezione della mostra, “Mistica dell’acrobazia”, che racconta le tre passioni-ossessioni del designer: i motori, il volo e lo sci. Le sue spericolate avventure hanno fatto storia: dai voli acrobatici che gli consentirono una serie di impressionanti scatti dall’alto al celebre bisiluro – progettato insieme a Mario Demonte ed Enrico Nardi –  al cui volante Mollino parteciperà alla 24 Ore Di Le Mans (il bisiluro ohimè finirà in un fosso), per arrivare alle immagini scattate a Cervinia tra il 1943 e il 1944. Queste ultime ritraggono le tracce sinuose lasciate dagli sci sulla neve ed esprimono tutto il dinamismo di questo sport; nulla era lasciato al caso in questi scatti: “gli sciatori erano costretti a tornare indietro e arrampicarsi sui pendii delle montagne per sfrecciare davanti al fotografo nella posizione esatta da lui richiesta, perfino la giusta inclinazione dei bastoncini perfettamente paralleli alla pendenza della discesa”.

Siamo giunti a “L’amante del duca”, quarta e ultima sezione dell’esibizione, ove le donne “mimano pose prese in prestito dalla storia dell’arte adeguandosi tanto alla lezione dell’originale quanto al gusto di Mollino”. Nei “Ritratti di Evi” – studio per biglietti di auguri di fine anno – Evi, altra modella prediletta, esce ed entra dall’anno vecchio nell’anno nuovo (il passaggio è simbolicamente rappresentato da una porta), indossando maliziosamente pochi capi d’abbigliamento. Il rapporto tra modella e fotografo è sintetizzato nei gesti e nelle pose compiuti appositamente per finire in un’immagine. Questo “gioco” si velocizza con l’utilizzo della Polaroid che Mollino scopre a partire dagli anni sessanta. Villa Zaira diviene il set di tutta una serie di scatti in cui Mollino immortala le sue modelle (con addosso abiti acquistati per corrispondenza nei negozi parigini di frivolités) come fosse una “estemporanea sfilata” che con un volo di fantasia ci trasporta dai tempi di Cleopatra alla Belle Époque.

L’occhio di Mollino, oltre al suo pregio di darci un’immagine fedele quanto originale dei soggetti prescelti, ha il gran merito di fornirci uno spaccato inedito di una città (Torino) ancora pesantemente gravata da usi e costumi ottocenteschi. Il suo fervore e il suo slancio rivoltarono in certo qual modo quanto meno la Torino borghese, così come diversamente in quegli stessi anni lo fece Antonelli con la sua invenzione tuttora simbolo della città.

Per maggiori informazioni:  http://camera.to/mostre/locchio-magico-carlo-mollino-fotografie-1934-1973/  

Gloria Guerinoni