Esce per Miraggi il nuovo libro di Francesca Angeleri e Alessandra Contin
La città ritorna a bruciare.
O meglio, forse tenta solo di rinascere dalle proprie ceneri, come Edo il protagonista de “L’EDOnista”, il romanzo edito da Miraggi che vede insieme le due giornaliste e scrittrici torinesi Francesca Angeleri e Alessandra Contin.
In bilico tra “Meno di Zero” in salsa nuovo millennio e la fauna sabauda dei libri di Giuseppe Culicchia, gli abbiamo rivolto alcune domande.
Chi è Edo?
Edo è uno che si trova a comprendere la guerra che ha dentro di sé, i suoi traumi, le sue forze, il lato oscuro e quello illuminato. E non smette di provarci. Edo si fa schifo, ma si dà anche una chance di essere sé stesso. Di diventare chi è davvero, smette di strusciarsi nell’angolo oscuro e cerca la sua strada e credo che questo, oggi, lo porti a essere più felice di come lo abbiamo letto nel romanzo. Magari è con Viola. O forse molto lontano da lei. Chissà, magari lo racconteremo presto (F.A.).
Tecnicamente è un romanzo di formazione, ma si sente che siete affamate di raccontare una storia a tutto tondo: da dove è nata la vostra ispirazione e quanto è stato difficile raccontare in prima persona al maschile?
I romanzi di formazione molte volte sono un pretesto per raccontare la società e la nostra è una società disfunzionale dove edonismo, ricchezza e bellezza sono spacciati come aspirazioni universali. Volevamo raccontare la storia di un ragazzo, molto agiato, ma in conflitto tra le sue aspirazioni e le regole e i doveri imposti, la voglia di reinventarsi e la paura di farlo. Volevamo un piano sequenza senza filtri, mostrato attraverso lo sguardo di Edo. Una volta determinato cosa volevamo dire e come volevamo dirlo, parlare con la voce di Edoardo, la voce di un giovane maschio, è stato facile, potremmo dire naturale (A.C.).
Torino è sempre presente, tra un passato che non c’è più e l’acceleratore di particelle in cui ogni giorno ci precipitiamo tutti, che tipo di città volevate raccontare?
Torino è una città che abbiamo amato molto. Scriverne è un atto d’amore per ciò che è stato e soprattutto per ciò che potrebbe ancora essere. Ci vuole molto sforzo adesso che la paghetta non c’è più. Ma la città di questo libro in realtà non è così connotata. È una città universale in cui si muovono sangue, muscoli e cervello, in cui si ama e si sfrutta l’amore, in cui si beve troppo e ci si droga troppo. In cui i giovani, ovunque, hanno il diritto e il dovere di vivere appassionatamente (F.A).
Quale messaggio in bottiglia si nasconde tra queste pagine?
Che non esiste una “scrittura al femminile”. Abbiamo iniziato a scrivere Edo con due cartelle molto dure, poco “scrittura e sensibilità femminile”, convinte che ogni voce può giocare con gli stereotipi di genere e del genere. Perché ogni voce, nella scrittura, porta un bagaglio di immaginario che può mutare, evolvere e cambiare più volte pelle (A.C.).