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 «Serve anticonformismo e coraggio di innovare».

Due chiacchiere con Gianni Depaoli e Mark Bertazzoli, artista e curatore della mostra Hope

Gianni Depaoli, con l’opera “Porzione di mare” attualmente esposta al palazzo della Regione Piemonte di Torino, presenzierà alla 59esima Biennale Arte di Venezia nelle giornate del Festival del Cinema.

Abbiamo fatto due chiacchiere con l’artista e con Mark Bertazzoli, curatore della sua mostra Hope e del MACIST di Biella.

Due storie simili che si incontrano, in un feeling congiunto: due profani che hanno fatto, con grandi risultati, della loro passione il loro lavoro.

Iniziamo dalla base: Come stai Gianni?

G: Bene dai. È andata bene. Prima un po’ teso, ma adesso bene. Ero nervoso ma è andata bene.

Beh, direi! Hai preso l’applauso più forte tra tutti gli interventi.

G: L’importante è farsi conoscere bene. Far capire i concetti espressi. Anche il discorso artistico è importante. Ogni opera ha il suo messaggio. Non esistono 10 opere con lo stesso significato.

Ad esempio, qui c’è l’opera Afrodite che non c’entra nulla con quello che può essere il ‘pessimismo’ delle altre opere. Nell’opera le uova, simbolo di vita, si schiudono e risalgono sul tronco, come schiuma; come Afrodite che rinasce dal mare.

Volevo prima conoscere qualcosa di te, Mark. C’è stata una mostra che ti ha colpito a tal punto da farti decidere di fare il curatore?

M: Bella domanda! Più che mostra, la Fondazione Maeght; guardano quella collezione permanente e la location in cui era situata ho scoperto che questo è quello che avrei voluto fare e sviluppare.

Per una mostra si sceglie prima il tema o prima lartista?

M: I temi affrontati dagli artisti si conoscono. Si parte dal tema se devi organizzare una collettiva con più artisti.

Per ora preferisco concentrarmi sulle piccole dimensioni per poi arrivare col tempo a fare delle collettive importanti.

Preferisco fare cose introspettive e personali che affrontano tematiche specifiche: degrado ambientale, ecosostenibilità, scarto di rifiuti e riciclo.

Cerco di fare mostre che seguono un filo logico e che in un modo o nell’atro dialoghino con loro.

Quindi in un certo senso scegli prima il tema.

M: Si diciamo che il figurativo mi ha un pò stufato. Voglio far qualcosa di diverso che abbia una valenza sociale.

Cerco di fare mostre che seguono un filo logico e che in un modo o nell’atro dialoghino con loro.

Il titolo della mostra è una parola: Hope. Hope nella mostra del 2020 e Hope oggi. La speranza continua ad esistere e nel caso a resistere?

M: La speranza è essere ottimisti partendo da noi stessi, dal basso, cambiando i nostri atteggiamenti per sensibilizzare e incidere veramente.

E il compito dell’arte, del cinema, della letteratura, è quello di sensibilizzare su queste tematiche.

Ho citato nel testo critico il film Dont look up che è una sintesi di questa necessità: colpire con l’arte prendendo in causa lo spettatore. C’è qualcosa che non va e dobbiamo cambiare i nostri atteggiamenti.

 

G: Hope è nata come speranza di cambiamento. Se non ci fosse la speranza saremmo finiti.

Anime silenziose è il titolo dellopera che Gianni ha lasciato alla Fondazione. Chi sono le anime silenziose?

G: Le anime silenziose sono quelle che aspettano di morire in ospedale. (Gli si spezza la voce diventando roca)

Sono silenziose perché non hanno più nulla da dire.

Io l’ho vissuta in prima persona. Un anno e mezzo di ospedali per mia moglie e molto tempo speso nelle cure per me.

Sono anime che aspettano o di essere salvate oppure… Sai già cosa aspettano.

 

L’arte ha una funzione Sociale?

M: Se non l’avesse sarebbe mera presentazione estetica. Deve trasmettere significati, che siano diretti, velati (perché gli artisti contemporanei spesso cercano di essere enigmatici) o molteplici. Non ha più senso la bellezza fine a sé stessa.

 

G: Sì. Ne sono fermamente convinto. Ad una condizione: devi trovare l’ente che abbia le palle di reagire. Come quando avevo proposto, per presentare un progetto sui danni all’ecosistema marino, di annunciare che davanti ad un acquario di una grande città italiana ci sarebbero stati 49 delfini morti.

Serve l’arte per scuotere le coscienze. L’arte deve essere cruda, perché la realtà è violenta.

Spiagge distrutte, donne sfregiate, animali morenti. Io ho usato petrolio, catrame, sangue, facevo cose che creavano ribrezzo. Bisogna scuotere le coscienze.

 

Come si prepara una mostra di questo tipo? Chi seleziona le opere?

M: Ogni opera vuole sensibilizzare su un determinato tipo di deterioramento dell’ambiente.

Trovandoci in Regione abbiamo optato per installazioni come Afrodite, molto di impatto e scenografiche. Anche Porzione di mare (che finirà alla Biennale di Venezia) e Acque sporche sono molto d’effetto.

E poi ancora opere legate al nuovo indirizzo, quello della vita e della speranza. Essenziale è che ogni opera rappresenti un diverso tipo di inquinamento ambientale, come la pesca di reti elettriche ancora usata in alcuni paesi dell’Unione Europea.

Non c’è nessun luogo della terra che non sia contaminato.

 

Il curatore fa un po’ da ponte tra lartista e il fruitore. Tu Mark da curatore, e tu Gianni da artista, cosa consigliereste a chi viene a vedere la mostra?

M: Non ha senso nel 2022 atteggiarsi a radical chic. Quindi: Gustatevi le opere! Iniziate da un punto di vista estetico. Alcune opere trasmettono sensazioni di eleganza lirica.

In un secondo momento approfondire la tematica che l’autore affronta.

Per le opere di Gianni è semplice, lui è diretto e pratico. Riesce a coinvolgere il pubblico spiegando tutto nel modo più semplice possibile.

 

G: Le mostre devono essere chiare e con messaggi manifesti. Non deve capirle solo l’intellettuale che per altro con i suoi yacht inquina il mondo.

L’arte deve essere come la televisione con la differenza che l’arte la vivi, ti suscita emozioni, anche fastidio. Provare la sensazione.

 

Il MACIST: Museo dArte Contemporanea internazionale Senza Tendenza di cui sei il curatore. Cosa vuol dire essere senza tendenza?

M: Vuol paradossalmente dire avere tutte le tendenze. Essere aperti a chiunque, anche quelli con cui non sei allineato. Non abbiamo preconcetti e uniamo arte povera, transavanguardia, figurativo, minimalismo, concettuale. L’intento portato avanti da Omar Ronda e Philippe D’averio era accostare forme d’arte completamente diverse per far sì che un fruitore medio potesse essere illuminato dalle opere.

Noi ci definiamo un museo Etico e Democratico. Etico perché siamo legati alla fondazione Tempia, per la lotta ai tumori; le iniziative che facciamo vanno a loro beneficio. Chi viene da noi non è solo un destinatario di cultura ma può diventare un protagonista attivo nella lotta al cancro.

Democratico perché non abbiamo preconcetti politici di nessuna sorta. Siamo indipendenti e senza tendenze.

A noi interessano qualità e talento.

 

Tu Gianni avevi fatto “Abissi” anni fa. Abissi indagava la natura dell’uomo e invece con Hope indaghi la natura. C’è correlazione tra le due nature? Umana e della Terra?

G: Ma alcune opere sono entrate a far parte di Hope, come Abisso Rosso Challenger 10.994. Abissi era più introspettiva. Il pensiero visto come dei grandi fiumi con dei grandi meandri dove a volte il pensiero si ferma, s’incaglia e rimane senza stimoli. Lì stai fermo fino a quando non arriva la corrente che ti porta via dal meandro. Una situazione di staticità.

 

A volte guardandosi indietro sembra che le grandi intuizioni e le grandi correnti del passato abbiano detto tutto quello che cera da dire. Ma gli artisti continuano ad esistere e creare. Quali sono in particolare i nuovi linguaggi dellarte?

 

M: Bella domanda. Molto vasta. La realtà è abbastanza composita.

Siamo un po’ fermi e gli investitori si affidano ai nomi noti senza voler rischiare, colpendo così artisti, collezionisti e addetti ai lavori. Un periodo difficile.

Ma la storia darà ragione a quegli artisti che sapranno riflette sul loro tempo lanciando messaggi significativi attraverso materiali che non sono mai stati usati. Serve anticonformismo e coraggio di innovare.

 

G: Il nuovo linguaggio è quello che puoi toccare con mano. La contaminazione invece è la via. Non per forza devi usare l’olio per fare un quadro, lo puoi anche mischiare con il catrame.

I nuovi linguaggi si creano attraverso la commistione di linguaggi che si toccano. L’unica è provare.

 

Ruben scrive canzoni, articoli, interviste, legge, racconta, appassionato di politica e di dolce vita. Borsalino addicted.