Era il 2020? No. Era il 1958 e il compositore newyorkese Lejaren Arthur Hiller si avvaleva di un modello matematico computerizzato per comporre le partiture di quella che avrebbe chiamato la “Illiac Suite”. Oggi l’intelligenza artificiale è cresciuta ancora, raggiungendo un livello di raffinatezza al limite dell'umano. Ma davvero è possibile un futuro in cui l'AI possa sostituire la sensibilità di un artista?
Negli ultimi tempi si fa un gran parlare di intelligenza artificiale, e non è un caso. Il ritrovato interesse nei confronti della tendenza delle scienze informatiche a emulare il comportamento umano, infatti, vive di un rinnovato splendore a seguito dell’uscita, lo scorso novembre, di uno strumento online chiamato ChatGPT. Bastano un paio di colpi sulla tastiera per chiedere di generare qualsiasi cosa, da un testo in rima sulla guerra in Ucraina a un saggio di ricerca sulla poesia grafica sudamericana. La facilità con cui lo strumento riesce a mettere in piedi una risposta impeccabile, completa e “umana” vi farà scendere un brivido lungo la schiena misto tra inquietato e divertito.
L’intelligenza artificiale, poi, è persino in grado di dipingere. Internet pullula di piattaforme a cui commissionare le immagini più folli e fantasiose: posto il quesito in modo chiaro e inequivocabile, lo strumento genererà un’immagine degna del più raffinato pittore contemporaneo, in relazione alla richiesta dell’umano mecenate.
Gli occhi si sgranano e le gambe tremano: ma allora davvero nel futuro i computer saranno in grado di rimpiazzare la sensibilità di un artista? La risposta è probabilmente no, e ce lo conferma uno sguardo indietro nel tempo, più precisamente all’anno di grazia 1958.
A quell’epoca Lejaren Arthur Hiller, un chimico newyorkese appassionato di musica, mentre era assorto nel suo studio veniva colto da un dubbio amletico: è possibile applicare l’uso di un modello matematico computerizzato alla stesura di una partitura per orchestra? In parole povere, posso chiedere al mio computer di scrivere per me uno spartito nello stile di J. S. Bach? Il gioco è presto fatto: definita una serie di regole fisse basate sulle tecniche compositive dell’immortale maestro tedesco, l’algoritmo riesce a sintetizzare una partitura in perfetto stile barocco che Hiller affiderà a un quartetto d’archi dell’Università dell’Illinois per l’esecuzione.
Torniamo allora al nocciolo della questione:
l’intelligenza artificiale rischia davvero di diventare una minaccia o è una promessa per il panorama artistico?
Cadere nel cliché del predominio robotico della macchina sulla sensibilità umana è facile e scontato. Ma dimostrazioni sensazionalistiche come quelle di ChatbotGPT non devono impedirci di confidare nelle infinite potenziali applicazioni che una tecnologia talmente raffinata possa avere nelle arti così come nella vita quotidiana. In più, storie come quella di Hiller ci dimostrano che spesso le cose che reputiamo più innovative erano già lì da tempo e che, un po’ come per la “scoperta” dell’America, in realtà vivevano già di vita propria e aspettavano solo di essere viste da un pubblico più ampio.
Insomma, l’eventualità che un domani accendiamo la radio e la hit dell’estate sia stata scritta da un algoritmo in completa autonomia sembra fortunatamente lontana. Del resto, può ancora esistere un essere umano senza computer, ma non può ancora esistere un computer senza un essere umano.