La rubrica di Sugo che mette a confronto le tradizioni del passato e le prospettive del futuro, attraverso le innovazioni del presente.
La storia della viticoltura langarola è antichissima, si pensa che siano stati addirittura i celti a piantare i primi vigneti, ma così come in buona parte d’Italia son stati i romani a codificare la produzione vinicola. Caduto l’impero buona parte di quelle terre rimasero incolte e si deve ad alcuni monaci la conservazione di quel sapere che portò a tramandare nei secoli a venire quelle conoscenze. Bisogna aspettare l’anno mille per rivedere il rinascere di una produzione degna di questo nome, ed è in quegli anni che vide la luce il Nebbiolo.
Tra ‘500 e ‘600 si inizia a pensare al vino come qualcosa di importante, grazie alla corte sabauda che investì in quelle terre con il nascente proliferare di tenute agricole importanti. Ma è l’800 il secolo che definì la storia futura del Nebbiolo e delle Langhe con personaggi come Camillo Benso Conte di Cavour e la famiglia Falletti e non a caso la Scuola Enologica di Alba vide la luce proprio nel 1881, ed è da quella scuola che uscirono gli uomini che impressero il marchio del cambiamento.
Quei primi enologi facevano parte delle famiglie più agiate e aristocratiche che controllavano buona parte dei terreni vitati, i contadini da parte loro sgobbavano come muli tramandandosi il sapere di generazione in generazione. Una storia che è andata avanti ben oltre la Seconda guerra mondiale, ed è in quegli anni che inizia il primo cambiamento con i lavoratori della terra che cominciano ad acquisire i terreni che i grandi latifondisti mettono in vendita, anche perché a quei tempi il valore del Barolo e del vino era ben lungi a valere quanto poi è diventato col tempo.
Una generazione di produttori che si è data da fare con sacrificio e coraggio, portandola a conoscere un mondo sconosciuto ma estremamente affasciante. Uomini dalla tempra forte, che solo a spizzichi e bocconi tramandavano ai figli il loro sapere. Ma il tempo è corso veloce e le generazioni future, giovani uomini e giovani donne (finalmente inserite a pieno titolo) delle singole aziende hanno deciso di prendere in mano il loro destino apportando significativi cambiamenti alla cultura enologica.
Un rinnovamento radicale che ha praticamente coinvolto tutte le oltre 500 aziende che oggi fanno parte del Consorzio Langhe-Roero. Decine e decine di ragazze e ragazzi che non si sono fatti ingelosire da altri sbocchi occupazionali ma che hanno deciso di perseguire il lavoro di famiglia, consci che non poteva rimanere quello che si era sedimentato negli anni precedenti.
Un esempio significativo è certamente quello della cantina Mauro Molino di La Morra. Un’azienda nata su input di Mauro Molino, diplomato ad Alba e successivamente enologo per altre aziende, poi nel 1979 decide di dedicarsi al lavoro in quei pochi ettari di vigna lasciatogli dal padre. Inizia così un percorso di crescita che sancirà col tempo un passaggio generazionale che cambierà radicalmente il concetto stesso di produzione del vino; non solo vino, ma una visione a 360 gradi del modo d’essere di una cantina dell’oggi e del domani.
Ovviamente tutto parte dal vino, dalla sua qualità, dalla personalità che chi produce trasmette nella bottiglia, ma insieme a questo l’idea della cantina come fulcro di bellezza, di una testimonianza tangibile del processo evolutivo che porta a pensare alle suggestioni che ci vengono dall’arte, dalla sostenibilità, dal pensare alla cantina come elemento fondante non solo d’immagine, ma la trasposizione dell’essere che diventa sostanza.
È questo che i fratelli Molino, Matteo e Martina, oggi propongono per chi voglia approcciare ai loro vini, un viaggio nella bellezza, nella qualità, e oserei dire nel futuro di quel che sarà la Langa e il Barolo.
Si sono rimboccati le maniche e come due studenti universitari si sono applicati studiando, visitando altri territori, confrontati con i loro colleghi/coetanei per arrivare a ripensare il loro essere “contadini” 5.0. Un viaggio affasciante che si è dipanato tra tentativi ricchi di confronto col padre, un diventare adulti sul campo che li ha portati alla consapevolezza che vale la pena vivere sapendo che il domani si costruisce giorno dopo giorno, seguendo quel che la natura regala accompagnandola senza stravolgere la storia, le tradizioni ma prendendola per mano per portarci a godere sempre più di quel nettare che amiamo e vogliamo vivere con immutato piacere.