Dal Cenacolo Vinciano al Campari, la magia della sospensione precedente l’azione.
Il countdown prima che inizi il film in sala, gli attimi tra il suono del campanello e l’entrata in casa di un ospite atteso, i minuti che precedono un primo appuntamento, il ‘tu-tu’ del telefono all’inizio di una chiamata importante, la voce metallica: il treno sta arrivando.
Ogni giorno godiamo di piccole attese, fugaci istanti di stasi in bilico tra la frenesia, che ci fanno sognare una vita che si dispieghi nell’elettricità dello ‘stare per’. Forse è una patologia per illusi romantici, ma quanto sarebbe bello vivere sospesi all’apice dell’aspettativa, senza quei rozzi ed efferati reality check?
In tanti hanno provato a cristallizzare quella sensazione che, per definizione, precede. L’azione diventa un semplice scarico di tensione, mentre tutta la poesia è trattenuta nel brivido dell’incertezza. Perché è proprio nella sua pluralità e nel suo essere indefinibile, che se proviamo a fermarla in un fotogramma o in una frase, ricaviamo uno spaccato di reale umanità.
Ma cosa accade in quegli istanti, in cui ogni cosa si trova tra l’essere e il non essere? Quell’attesa, transitoria e di passaggio, non potrebbe costituire il carattere proprio del fenomeno artistico?
Recentemente sono stata colpita dalle parole di Nicola Lagioia che nel podcast Fare un fuoco – La bellezza salverà il mondo? per Lucy sulla cultura, cita Ben Lerner dicendo che la forza dell’arte e della poesia sta nella capacità di “tenere il posto per un futuro non ancora arrivato”.
E forse è proprio così. Nell’arte, come nella vita, il momento estetico, poetico (o come lo volete chiamare, basta che sia carico di sentimento) è proprio quello all’orlo dell’incertezza, in cui si aprono spazi sperimentali davanti a noi. Tutto si ferma. Ci separiamo dalle incombenze del nostro ego. Ci carichiamo di emozioni e desideri fino ad esserne inebriati.
Se il Discobolo stesse lanciando il disco, se nel Bacio di Hayez non ci fossero quegli scarsi centimetri di distanza tra le bocche dei giovani, e se Gesù avesse già svelato il nome del traditore nell’Ultima Cena di Leonardo, la nostra attenzione sarebbe incanalata verso una sola, semplice emozione e saremmo privati dell’energia dirompente dell’indefinito, in cui tutto è ancora in potenza, in cui possiamo liberamente abbandonarci al dolce bilico tra i poli.
Perché è vero che “l’attesa del piacere è essa stessa il piacere”, e questo non significa abbandonarsi a fantasie e illusioni che faranno inevitabilmente a pugni con la realtà, ma solo gustare, per quanto possibile, il piacere della contingenza.
Che comunque (per cultura generale), l’ha detto Lessing, ma facciamo finta che sia stata una trovata della Campari.