“Chi non capisce uno sguardo, non capirà nemmeno una lunga spiegazione” recita un proverbio arabo citato da una guida omanita durante una conversazione intensa e assolata di qualche settimana fa.
Ognuno ha il suo sguardo e la stessa cosa vale per il talento, perché per fortuna siamo tutti diversi. Unici.
Migliaia di volte mi è capitato di osservare gli occhi e gli sguardi di bambini e ragazzi alle prese con scelte importanti. Al contempo ho potuto osservare anche quelli dei loro famigliari – che, molto spesso in cerca di risposte rassicuranti, guardavano altrove.
Eppure, ci sono sguardi brillanti e sguardi spenti ed è impossibile non notare la differenza. Ma, come sempre, la differenza si nota solo se ci si ferma a osservare davvero. Senza paura, con amore. E questo “con amore” è il punto.
Ragionando per paradigmi educativi e partendo dalle radici: educare – dal latino educěre «tirar fuori ciò che sta dentro».
Paradigma odierno: comando io; io insegno e tu impari; io ti giudico; e continuerò così fino a quando non avrai imparato (a sufficienza!) tutto ciò che di preordinato devi imparare. Tu, devi seguire la mia strada, perché io so e tu devi imparare.
Un diverso paradigma possibile: comandi tu; io ti osservo e non ti giudico; osservo cosa ti rende felice; cerco di capire quali sono i tuoi talenti; ti aiuto a crescere e a farli crescere; ti aiuto a fiorire. La strada la troviamo insieme. Per aiutarti a imparare devo imparare da te e con te.
L’insegnamento si fa strumento, così come coloro che insegnano, così come tutto ciò che ruota intorno al fulcro, perché fulcro è, finalmente, lo studente.
Sogno una pagella che sia una poesia dedicata a ciascuno studente. E solo a lui/lei. Capace di rimanere nei suoi occhi, nel suo cuore e nella sua mente come un seme che darà i suoi frutti quando sarà il suo momento. E di nessun altro.