De Chirico in mostra alla Gam di Torino fino al 25 Agosto
Alla GAM fino al 25 agosto una mostra dal titolo Giorgio De Chirico. Ritorno al Futuro celebra la metafisica dechirichiana e presenta al visitatore le prove della sua grande influenza sui pittori più giovani e a lui contemporanei.
” Lavora più che puoi, perché il tempo preme, e se non siamo noi a salvare la pittura europea succede un disastro.
Bisogna tornare al classico, alla figura umana, alla divina pasta degli antichi … “
La preoccupazione è evidente, si può persino percepire una certa ansia. Sono le parole di Giorgio De Chirico che in una lettera del settembre 1920 esorta un suo collega pittore a proseguire nel lavoro di “rifondazione della pittura”. Oggi possiamo dire che la sua restaurazione è stata riferimento e spunto per molti pittori del ‘900, come Renato Guttuso e Andy Warhol.
Occorre chiarire il perché di tanta premura, il perché della restaurazione. Per fare ciò dobbiamo fare alcuni passi indietro. Nel 1909 Marinetti nel Manifesto del Futurismo proclama: Un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia. Per De Chirico queste parole devono essere sembrate una vera bestemmia. Ma è solo l’ultima goccia che fa traboccare il vaso. Prima gli Impressionisti avevano voluto “cogliere le impressioni istantanee” dipingendo senza disegni preparatori, poi il Divisionismo aveva deciso di presentare la realtà servendosi non di linee ma di infinite successioni di puntini (tanto che in Francia si parla di Pointillisme, Puntinismo).
Per De Chirico era troppo. Lui che, nato in Grecia, si era formato sulle sculture di Fidia e Policleto, lui che venerava l’arte italiana del ‘400 e ‘500, non poteva sopportare quello che stava accadendo. Decise allora di ritornare alla linea, al disegno preparatorio, insomma, di ritornare all’ordine, avendo come modelli la Classicità e la pittura del Rinascimento. Nelle sue tele allora compaiono figure dai lineamenti molto marcati (è l’apoteosi della linea!), statue greche e porticati dallo stile squisitamente rinascimentale.
De Chirico compie però un passo ulteriore. Riesce a fondere il suo bisogno di classicità con il suo rivoluzionario stile metafisico e la sua ossessione per il tema dell’enigma. Il risultato di questa operazione è visibile in sua celebre opera, Le Muse inquietanti. Qui c’è tutto: la classicità nella ripresa della statuaria greca, il richiamo al Rinascimento nel Castello Estense, l’enigma in quei singolari rettangoli colorati in primo piano e infine la realtà metafisica celebrata dalla presenza dei misteriosi manichini e dalla assenza di vita umana.
Compositore sapiente e concertatore perfetto, De Chirico riesce a far coesistere realtà classica con sentimenti moderni, senza creare un conflitto fra stili. Instaura un dialogo fra epoche, che porta alla nascita di qualcosa di totalmente nuovo e mai visto, tanto che generazioni di artisti, in particolare dagli anni Sessanta in poi, si sono ispirati alla sua opera.
Scarpetta di Sugo